L’utilizzo di un farmaco ha permesso al 60% di bambini di tornare a una dieta libera, secondo uno studio osservazionale del Bambino Gesù

Non solo evitare gli alimenti responsabili o la desensibilizzazione per le allergie alimentari. Ci può essere una terza via, farmacologica. A parlarne uno studio osservazionale realizzato da clinici e ricercatori dell’unità di Allergologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, pubblicato sulla rivista Allergy.

Nel caso di allergia agli alimenti la terapia farmacologica è rappresentata dalla somministrazione dell’anticorpo monoclonale omalizumab, che mantiene innocue le IgE circolanti nell’organismo e, riporta l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che il farmaco, già in uso per l’asma, è stato approvato dall’FDA nel 2024 come primo farmaco per l’allergia alimentare, con comunque l’indicazione di continuare a evitare l’alimento che scatena le reazioni. L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù utilizza questo anticorpo monoclonale da 10 anni come strategia di riduzione del rischio nei bambini con asma grave e allergia agli alimenti.

Con questo studio osservazionale i clinici e i ricercatori si sono proposti di valutare il grado di sicurezza della terapia nel momento in cui l’alimento viene reintrodotto nella dieta del bambino. Per farlo sono stati inclusi e trattati per 12 mesi 65 bambini con asma ed allergia alimentare. Con il trattamento farmacologico le soglie di reazione all’alimento vengono moltiplicate: per il latte 250 volte, per l’uovo 170 volte, per la nocciola 250 volte, per l’arachide 55 volte; inoltre, il numero delle reazioni anafilattiche diminuisce, passando dai 98 casi registrati nei 12 mesi precedenti la terapia con il farmaco alle 8 reazioni durante il periodo di cura.

Un altro aspetto considerato riguarda la possibilità di reintrodurre gli alimenti che scatenano reazioni allergiche, ottenuta nell’88% della popolazione studiata. E nei bambini in cui le allergie presenti erano nei confronti di più alimenti, il 61,5% ha ottenuto una dieta libera senza restrizioni.

“Con il trattamento farmacologico tutti i bambini del gruppo hanno potuto smettere di osservare l’etichettatura precauzionale degli alimenti alla ricerca della dicitura ‘potrebbe contenere…’, pratica che limita di molto le scelte dei pazienti allergici alimentari. Oltre a ciò, lo studio documenta che i genitori e i pazienti si rilassano, il loro indice di qualità della vita viene normalizzato non dovendo più essere condizionati in maniera incombente dal mangiare per errore qualcosa di sbagliato”, hanno raccontato Stefania Arasi, allergologa, prima autrice dello studio, e Alessandro Fiocchi, responsabile di Allergologia del Bambino Gesù e coordinatore della ricerca, e concluso: “I dati osservazionali del nostro studio dovranno essere replicati in maniera prospettica, ma la terza via per una vita migliore per i bambini allergici alimentari è aperta”.